Se pensiamo alla storia complessa e tortuosa che ha portato l’umanità a potersi dotare di strumenti di informazione affidabili, è ancora più doloroso assistere alla crisi dei media di questi ultimi anni.

Sui motivi di questa lunga stagione di difficoltà si discute ormai costantemente. C’è chi punta il dito sull’incapacità della stampa (sia essa online che cartacea) di stare al passo coi tempi: i lettori si aspettano notizie veloci e accurate, all’altezza delle tecnologie che abbiamo a disposizione quotidianamente nelle nostre vite. Questo raramente succede: invece leggiamo articoli rimasticati, spesso copiati e incollati dalle agenzie di stampa.

Una malattia contagiosa

Questa mancanza di originalità si riflette anche sulla preparazione dei giornalisti stessi, che di fatto tendono a scrivere nello stesso stile, usando frasi sempre uguali, il che difficilmente coinvolge il pubblico. Anche dove rigore e controllo delle fonti sono al centro del lavoro di redazione ci si imbatte in errori, in “granchi”, addirittura in fake news.

In questo scenario si contano sulle dita di una mano le pubblicazioni italiane che sfuggono a questa autentica malattia: troppo poche per dare la rotta verso acque più sicure, troppo poco diffuse per rappresentare una rinascita. Davvero non c’è futuro per il giornalismo italiano?

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